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29 settembre 2018, ore 18.00 - Palazzo Fabroni, Pistoia



 

Curata da Valerio Dehò e Claudio Giorgetti, la mostra di Gerardo Paoletti “La carne, la morte e il diavolo” vuole porre all’attenzione una modalità artistica che risulta essere contemporanea pur affiancandosi a pratiche del passato. I temi svolti hanno a che fare con gli archetipi come la morte o l’Eros, ma anche con il recupero delle marginalità. L’attenzione di Paoletti va agli esclusi, recupera i malintesi della Storia, le ansie di non comunicazione. Possiamo dire che l’artista “usa” la sua arte multidisciplinare e plurilinguistica per creare una memoria collettiva che non distingua in base a criteri moralistici, ma anche aperta alla trasgressione e al marginale come positivo confronto con le diversità. Il lavoro di Paoletti si è sempre concentrato sull’attrazione per la fisicità, per il corpo, per il lato oscuro della mente dell’uomo. E’ un artista che nel contesto dell’arte contemporanea italiana ricopre un ruolo particolare e a se stante rispetto alle tendenze neo-concettuali. Predilige il lavoro di ricerca e di accumulo di immagini provenienti dalla storia o scaricate da internet, in una visione in cui i linguaggi dell’arte devono convivere e non escludersi. Anche nei suoi lavori precedenti dedicati alla mafia ha teso a dare un valore quasi teatrale ai personaggi, animandoli in una sorta di galleria di maschere, di teste parlanti. Paoletti lavora per cicli attorno a tematiche esplicite. La “carne” in questa mostra è rappresentata da una serie di lavori su cotone cucito in cui l’artista è partito da delle foto segnaletiche dei primi decenni del ‘900. Delinquenti, gente fuori dalla norma, che vengono interpretati come dei corpi smembrati, dei personaggi la cui corporeità è dichiarata ma anche scomposta, non in asse. La “morte” come tema è stato sviluppato da un lato sviluppando l‘iconografia classica della morte come scheletro con tanto di falce, dall’altro ibridando questa tradizione con una serie di immagini ironiche che spostano l’asse temporale delle figure. Una morte dalle personalità plurime per dire che ci sono tante morti quanti individui, che generalizzare in questo caso può essere un errore e che i punti di vista al riguardo sono straordinariamente mutevoli. Il “diavolo” diventa in questa sequenza un elemento necessario, non solo come traghettatore verso l’oltretomba, ma anche come simbolo del peccato e del male. Paoletti ha in questo caso creato non solo una Diavoleria che riprende i vecchi elenchi di creature dell’Inferno, ma ha creato dei personaggi strani, incerti sul proprio futuro, dei vagabondi dello spirito. I lavori hanno anche un respiro epico con una grande tela di 10 metri di lunghezza che sottolinea la dimensione narrativa del tema.


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